
Disperata, cercò di liberarsi con tutte le sue forze.
Scalciò, puntò i gomiti ma era come tentare di scalfire un muro di granito con uno spillo. Si sentì mancare e mentre la realtà si spegneva pensò che era ingiusto, profondamente ingiusto finire così...
Si risvegliò sdraiata nella vasca del suo bagno.
Confusa, impaurita, imbavagliata. Mani e piedi legati, il corpo indolenzito. Grazie al cielo aveva ancora tutti i vestiti addosso, anzi era stata avvolta in una coperta. Era vittima di un maniaco?
Udì un ticchettio nel corridoio, intervallato da pause di silenzio, come se qualcuno inviasse messaggi con un telefonino, infine un sordo brontolio.
Passi che si avvicinavano. Trattenne il fiato per la paura mentre il battito accelerato del cuore le rimbombava nelle orecchie.
Un attimo dopo nella cornice della porta si stagliò un uomo vestito di nero. Pantaloni da jogging e maglietta attillata a sottolineare i pettorali scolpiti. Era alto. Molto alto.

La scrutava con gli occhi socchiusi, le labbra incurvate in un ghigno amaro, scuotendo la testa come se si stesse chiedendo cosa fare di lei.
Forse era un serial killer, pensò angosciata.
La fulminò con un’occhiata torva, prima di avvicinarsi e sbottare : “Se mi promette di non urlare le toglierò il bavaglio.”