Cuore e Batticuore


 
CUORE E BATTICUORE
di Liliana Fiume





Trascinandosi dietro il trolley, Francesca entrò in casa e richiuse la porta con un calcio.  Lasciata cadere la giacca a vento sulla poltrona più vicina, cominciò a sfilarsi le
scarpe con un sospiro di sollievo. Natale era passato soltanto da un giorno quando aveva deciso di lasciare l'innevata località montana dove avrebbe dovuto trascorrere le feste col suo ragazzo. Roberto era un promettente scrittore che viveva avvinghiato al suo inseparabile portatile. Tutto preso dalla sua "ispirazione", durante quella disgraziata vacanza aveva trovato a malapena il tempo di scambiare due chiacchiere con lei. Francesca alla fine si era stufata e l'aveva piantato in asso ma dubitava che si fosse accorto della sua mancanza prima di qualche ora. Il telefonino cominciò a squillare per l'ennesima chiamata in arrivo. La ignorò come le altre e si diresse verso il bagno con l'idea di fare un bel bagno caldo. Un po' di relax, ecco quel che ci voleva, pensò sorridendo. 
    
Neanche il tempo di rallegrarsi per aver ritrovato la sua dolce casetta, che un’ombra scura le si avventò rapida alle spalle. Due braccia forti la strinsero in una presa ferrea mentre una mano premuta sulla bocca le impediva di gridare.
Disperata, cercò di liberarsi con tutte le sue forze.
Scalciò, puntò i gomiti ma era come tentare di scalfire un muro di granito con uno spillo. Si sentì mancare e mentre la realtà si spegneva pensò che era ingiusto, profondamente ingiusto finire così...
Si risvegliò sdraiata nella vasca del suo bagno. Confusa, impaurita, imbavagliata. Mani e piedi legati, il corpo indolenzito. Grazie al cielo aveva ancora tutti i vestiti addosso, anzi era stata avvolta in una coperta.
Era vittima di un maniaco?
Udì un ticchettio nel corridoio, intervallato da pause di silenzio, come se qualcuno inviasse messaggi con un telefonino, infine un sordo brontolio.
Passi che si avvicinavano. Trattenne il fiato per la paura mentre il battito accelerato del cuore le rimbombava nelle orecchie.

Un attimo dopo nella cornice della porta si stagliò un uomo vestito di nero. Pantaloni da jogging e maglietta attillata a sottolineare i pettorali scolpiti. Era alto. Molto alto. 



I capelli scuri, cortissimi, e l’aria da duro facevano pensare a un soldato mentre il corpo agile e flessuoso aveva l’eleganza di una pantera e doveva essere altrettanto letale.  


La scrutava con gli occhi socchiusi, le labbra incurvate in un ghigno amaro, scuotendo la testa come se si stesse chiedendo cosa fare  di lei.


Forse era un serial killer, pensò angosciata.


La fulminò con un’occhiata torva, prima di avvicinarsi e sbottare : “Se mi promette di non urlare le toglierò il bavaglio.”

La ragazza annuì vigorosamente e lui eseguì mentre la informava brusco: ”Mi chiamo Gabriel Giuliano e sono un agente speciale della sezione antiterrorismo e lei, cara signorina,  ha rischiato di mandare a monte un’operazione di vitale importanza!"

Il sollievo per lo scampato pericolo durò poco. Sferzata da quel tono pungente, Francesca ritrovò all’istante la parola:  “E come l’avrei fatto? - obiettò acida - Rientrando in casa mia?”
Lui si chinò fino a sfiorarle il viso. Il suo fiato era fresco e sapeva di menta.

“Esatto. Non doveva rientrare prima di una settimana. Perché è tornata in anticipo?”

“Non sono affari suoi.”

Due incredibili occhi turchesi lampeggiarono d’ira.
“Risposta sbagliata, piccola. Il mio capo mi ha dato carta bianca con te. O collabori o ti sbatto in galera per intralcio alla giustizia” replicò spazientito.

 
Francesca fremette. Torreggiava su di lei, cupo e autoritario, e la trattava con una durezza che non aveva mai conosciuto.
Che ci faceva l’antiterrorismo in casa sua? Davvero poteva farla imprigionare? Lei non aveva fatto niente di male. Dov’erano finiti i suoi diritti?
Avrebbe preferito insultarlo, invece gli chiese con calma: “Perché mi ha messa nella vasca?”
Lui la guardò sorpreso, si aspettava lamentele a non finire per averla aggredita, non che lei fosse così ragionevole.

 
“E’ l’unica stanza sicura della casa. Ci sono microspie dappertutto e solo qui possiamo parlare senza essere ascoltati.”

 
“Da chi?”

 
“Dai terroristi che si sono installati qui accanto.”

 
Francesca trasecolò. Occupava l’ultima casa di un complesso di villette a schiera. Gli unici vicini erano una coppia di tedeschi, Paul e Karin, che erano arrivati sei mesi prima. Lavoravano entrambi come interpreti per una ditta di import export, o almeno così le avevano fatto credere.

 
Eppure ... Quell’uomo era davvero chi diceva di essere? E se invece fosse stato proprio lui il …

 
Gabriel sorrise, come se avesse seguito tranquillamente il corso dei suoi pensieri.

 
“Ti avrei già uccisa, altrimenti. Non credi?”

 
Lei arrossì, piccata. Non soltanto quell’uomo aveva invaso l’intimità della sua casa, e la teneva prigioniera, le leggeva anche nella mente! Era già abbastanza umiliante starsene lì, legata come un salame nella vasca da bagno, mentre lui la scrutava, divertito, dall’alto in basso.

 
L’uomo tirò fuori la chiave delle manette e gliela sventolò sotto il naso: ” Allora? Se hai deciso di collaborare, bene. Altrimenti finisci dentro per la prossima settimana, il che per me sarebbe anche meglio: sono abituato a lavorare da solo” concluse.

 
“Che cosa dovrei fare?” gli chiese inghiottendo l’orgoglio: non ci teneva affatto a conoscere le patrie galere.

 
“Fingere di avere un ospite.”

 
In quel momento squillò il campanello della porta.
Gabriel la tirò in piedi con un movimento fluido e la liberò.

 
“Si va in scena prima del previsto” borbottò trascinandosela dietro lungo il corridoio e giù per le scale, indifferente alla sua ritrosia.

 
Nel monitor del videocitofono apparve una biondina con un bicchiere vuoto stretto nella mano.

 
“E’ Karin, spiegò Francesca, viene spesso a chiedermi qualcosa in prestito.”

 
“Va’ ad aprire e dalle ciò che vuole, soprattutto cerca di essere naturale per non metterla in allarme” le bisbigliò all’orecchio dandole una pacca d’incoraggiamento sulla spalla.

 
Lei si avviò verso la porta con la faccia di un condannato a morte. Lanciò un'occhiata esitante alla ghirlanda natalizia infiocchettata di rosso che spiccava allegramente sul battente e con un ultimo sospiro si apprestò a eseguire gli ordini.   

 
Aveva già allungato la mano verso la maniglia, quando Gabriel la raggiunse con un balzo, l’afferrò alla nuca e attirandola verso di sé, la baciò, forte e deciso.

 
Francesca socchiuse le labbra per la sorpresa e lui ne approfittò per penetrarla con la lingua in un’intensa, profonda esplorazione che la lasciò stordita e ansimante. Il suo ragazzo non l’aveva mai baciata così.

 
“Ora vai” le disse spingendola avanti.

 
Un attimo dopo la porta d’ingresso si spalancava proprio mentre Karin stava per suonare di nuovo. La bionda colse in un attimo le labbra gonfie, l’aria sbattuta della ragazza e sorrise con aria saputa.

 
“Ciao, avevo bisogno di un po’ di zucchero ma forse ti ho disturbata.”

 
“No, no” si affrettò a negare l’altra, “te lo do subito.”

 
Si diressero verso la cucina passando dal soggiorno dove il giovane se ne stava stravaccato sul divano a leggere comodamente il giornale.

 
“Ciao” disse col sorriso più affabile del mondo stampato in faccia, “sono Gabriel, il ragazzo di Francesca.”

 
L’interessata riuscì quasi del tutto a nascondere un sussulto.

 
Il suo fidanzato si chiamava Roberto e Karin lo conosceva già. Poco male … Avrebbe solo dovuto spiegarle come mai era partita per le vacanze  con uno ed era tornata dopo una settimana con un altro.

 
In cucina le chiese sottovoce con aria da cospiratrice: “ Dove hai trovato quello schianto?”

 
“Ecco, lui è così … così …”

 
“Travolgente?” le suggerì la donna puntando l’attenzione sul suo seno generoso.

 
Francesca seguì quello sguardo e arrossì violentemente. Aveva la camicetta sbottonata e le si vedeva  chiaramente il reggiseno di pizzo. Accidenti a Gabriel e a quanto si era dato da fare!

 
Si affrettò a coprirsi mentre la donna prendeva lo zucchero ridacchiando: “Oh mein Gott, sei proprio una bambina!”

 
In quel momento il giovane entrò in cucina. Karin gli lanciò un’intensa occhiata di apprezzamento che lui le restituì sfacciatamente. Rimasero così, a valutarsi all’infinito, finché la donna non si decise a parlare, proprio quando Francesca cominciava a pensare di essere di troppo.

 
“Diamo una festa domani sera, perché non venite anche voi? Così avremo modo di approfondire la nostra conoscenza.”

 
“Con piacere, vero cara?” disse Gabriel stringendo Francesca alla vita e accarezzandole un fianco con fare possessivo.

 
La ragazza avrebbe dato qualunque cosa per poterli mandare entrambi al diavolo, invece si costrinse a sorridere.

 
“Vi lascio soli” disse la donna seguendo maliziosa i maneggi di Gabriel.

 
Appena se ne fu andata, Francesca prese fiato, preparandosi a esplodere, ma lui le pose due dita carezzevoli sulle labbra, intimandole di tacere con lo sguardo.

 
“Tesoro, andiamo di sopra a fare una doccia… ti va?”

 
In bagno aprì l’acqua e si girò verso di lei, freddo e impassibile.

 
Francesca sbottò inviperita: ”Dovevi essere solo un ospite, non il mio fidanzato. Karin lo conosce già.”
"Non era stupita di vederti con un altro… Il tuo ragazzo non dev’essere un granché. E comunque se non ti avessi baciata non saresti mai riuscita a ingannarla perché ti avrebbe letto in faccia la verità.  Ho  semplicemente dirottato la sua attenzione su di me.”
La ragazza non sapeva se essere più furiosa per i suoi commenti sarcastici o per quel bacio che l’aveva turbata più di quanto volesse ammettere.

Improvvisamente lui aveva l’aria stanca. Parlò dopo un breve sospiro: “Puoi stare tranquilla. Proteggerò la tua vita a costo della mia e non approfitterò della situazione. Va bene così? La tua virtù è perfettamente al sicuro con me.”

Chissà perché quell’ultima rassicurazione invece di tranquillizzarla la indispettì.

Certo, pensò, probabilmente gli piacevano le bionde alte e longilinee. Karin aveva una silhouette che lei non avrebbe conquistato mai, neanche se avesse imparato a vivere soltanto d’insalata.

Le occhiate di reciproco apprezzamento che si erano scambiati erano inequivocabili e adesso capiva perché preferisse lavorare da solo. La sua presenza rendeva tutto più complicato. Bastardo arrogante, promise, ti farò vedere io.
Gabriel la osservava pensieroso.

In quella situazione molte donne sarebbero già crollate. Lei no. Lo fissava, impavida, con quei suoi occhi scuri in cui brillavano pagliuzze d’oro verde.

Fin dal primo istante, era rimasto affascinato dal calore della sua casa. In cucina aleggiava ancora l’aroma dei biscotti appena sfornati, in bagno permaneva la fragranza di uno shampoo alla mela e aveva dormito fra lenzuola odorose di spigo, immaginando di averla al suo fianco.  

Avrebbe voluto accarezzarle i riccioli bruni come aveva fatto la notte prima, quando se l’era ritrovata fra le braccia, esanime.  Era stato duro, violento, perché non poteva rischiare di farsi scoprire. Lei non gli aveva rimproverato nulla.

Aveva gustato la morbidezza delle sue labbra, il sapore speziato della sua bocca arrendevole e non era rimasto deluso, anzi.

La desiderava.

Il suo volto fu attraversato da un fremito di tenerezza e fu tutto. Niente cedimenti.
“Vieni qui ora. Dobbiamo esercitarci.”

“Eh!?”

“Karin non crederà mai che siamo amanti se ti ritrai ogni volta che ti tocco” disse prendendola fra le braccia. Francesca s’irrigidì.

“Vedi … Che ti dicevo? Rilassati. Pensa di essere un’attrice che gira un film. E’ tutto finto!”

Cominciò ad accarezzarle la schiena. Dolcemente sensuale. Intanto la fissava, assorto.

Ammaliata dal suo sguardo limpido, lei pensò che poteva perdersi senza rimpianti in quelle due pozze d’acqua turchese.

Quando lui si chinò, non si ribellò, anzi accettò di buon grado il tenero tocco delle labbra sulle sue. Erano morbide, incredibilmente delicate. Suggevano, stuzzicavano e  le ricordavano il sapore della menta dolce appena raccolta, sottile e inebriante.

Poi il bacio cambiò, divenne esigente, quasi famelico. Francesca lo ricambiò con trasporto assecondando i mulinelli della sua lingua finché non restarono entrambi senza fiato. Tutto finto, eh?

Era turbato quanto e più di lei. Gli mordicchiò il labbro inferiore, fino a farlo mugolare.

“Bene, ansimò lui scostandola bruscamente da sé, penso che per il momento, ci siamo esercitati abbastanza.”

La risatina compiaciuta della ragazza lo irrise mentre si allontanava.

Gabriel si fermò per riprendere fiato, oltre la porta socchiusa.

È appena cominciata fra noi, pensò sogghignando, e dovresti sapere, amore, che ride bene chi ride ultimo.









 

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